FARE

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Dire fare baciare lettera testamento.

Scegli.

E il tuo destino è lì, su quelle cinque dita che una mano ti mette davanti

 

 

 

 

 

 

 

 

FARE

 

Per me l’uncinetto non ha segreti: catenella, maglia bassa, maglia alta, pippiolino, doppia maglia alta, punto di smerlo, punto a giorno, con punto a spina, punto a orlo e filet , il mio preferito. Sono talmente abile e veloce che non guardo mai il lavoro sentendolo al tatto. Inizio a metà mattina, dopo aver finito i lavori di casa. Mi siedo sulla poltrona con lo schienale alto, quella che guarda la finestra, scelgo l’uncinetto adeguato. Comincio.

Una mano regolare crea punti regolari e il copriletto giro dopo giro assume le giuste dimensioni mentre io mi perdo nell’intreccio dei miei pensieri.

E’ stato un mese fa che il mio sguardo è caduto sulla finestra del palazzo di fronte. Le gelosie chiuse da sempre si sono aperte, una donna si è affacciata ha appoggiato un vaso di parigini sul davanzale ed è sparita dietro ad una tenda sintetica semitrasparente. In quel momento che ho deciso che le avrei regalato una tenda filet  color avorio, magari riproducente l’effige di Padre Pio, santo a cui sono devota da sempre. Il giorno dopo, seduta alla mia poltrona, ho iniziato la tenda per la dirimpettaia rimandando l’ultimazione del copriletto. Erano circa le undici quando le gelosie si sono riaperte, la donna ha spostato la piantina e si è appoggiata al davanzale. Dietro di lei un uomo dimenava il bacino provocandole smorfie che non saprei definire se di piacere o di disgusto. Dopo cinque minuti di quella strana danza l’uomo di è scostato da lei poi sono scomparsi dietro la tenda. La mia solitudine è durata il tempo di una fila di punto pieno. Un altro uomo dietro di lei, altro dimenamento, altre smorfie e di nuovo il distacco. La processione è finita nel pomeriggio inoltrato. Solo allora ho guardato il mio lavoro rendendomi conto che padre Pio non era il soggetto adatto e che forse neppure il regalo sarebbe stato opportuno.

Conoscendoci saremmo entrate in confidenza, lei avrebbe smesso di appoggiarsi al balcone e io avrei perso il ritmo: un colpo, catenella catenella, un colpo, catenella catenella, un colpo, cinque archi di catenelle, un colpo, cinque maglie basse per ogni archetto.

 

ANOMIA

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Vedo una donna carica di pacchetti e sportine sbracciarsi in maniera così scomposta correndomi incontro mentre le persone che la incrociano si allontanano credendola invasata. Cerco anch’io una scappatoia ma il traffico non mi permette di passare dall’altra parte della strada.

 

 “Carissima, ma ciao!” mi urla in un orecchio stringendomi in un abbraccio che rischia di incrinami la settima vertebra e schioccandomi un bacio sulla guancia.

“ Chi cazzo è questa?”

“ Ma che bello averti incontrata dopo tanto tempo”

“Sarà una vecchia compagna di scuola su cui il tempo si è divertito.”

“ Guarda parlavamo proprio di te ieri sera con la Chiara , la Chiara , te la ricordi vero?”

“ Chiara.  Ne conosco 2 di Chiara. La figlia dell’ingegner Lamarini che ha 14 anni ed escludo che questa tettona teutonica si riferisca a lei, l’altra è la santa patrona d’Italia, la francescana, morta ad Assisi nel 200 circa e dunque da scartare a priori”

“ Ma certo che te la ricordi, che stupida che sono”

“ Se te lo dice lei sarà vero.”

“Tu sei sempre quella di buona memoria, imparavi una poesia in due letture”

“ Già. E’ per questo che non capisco come faccio a non ricordarmi di questo vortice di parole sparate senza prendere aria per ossigenare i polmoni e la testa”

“ Ti trovo bene, ma come fai a rimanere sempre la stessa? E la pelle, ma guarda che pelle che hai?!?!??! Io sto cadendo a pezzi, Guarda qui. Le vedi? No, dico, le vedi le braccia?  La vedi questa ciccia cascante? E dire che vado in palestra 3 volte a  settimana e sai cosa vuol dire per me fare dello sport no? Ero la persona più lontana dall’attività fisica che ci si potesse immaginare”

“ E’ un incubo, ma la mitragliatrice non si inceppa mai?  Devo trovare il modo di sganciarmi da questa pazza

“Ma tu che fai nella vita? Ti sei sposata? Hai figli? “

“Ti risponderei anche, se solo mi lasciassi parlare”

“Io mi sono sposata e ho anche due splendidi bambini. Ma sono entrata a far parte delle ex. Eh si, sono separata, anzi, tra un po’ divorziata. Non si andava d’accordo, non c’era dialogo tra noi”

“ Capisco molto bene il tuo ex marito. Oddio, ma chi è questa? Cosa vuole da me? Come cazzo si chiama e come fa a conoscermi?”

“Adesso che sono libera ho talmente tante cose da fare che non so proprio dove sbattere la testa,  giro come una trottola dalle 7 di mattina alle 2 di notte.  Ma sono rinata. Dovresti seguirmi per un giorno per capire e ti chiederesti anche tu come reggo a questo ritmo”

No grazie, giuro che mi fido

“ Adesso devo scappare ma mi ha fatto un mare di piacere vederti. ti lascio il mio biglietto da visita: c’è il numero di cellulare, quello di casa, la mail e il giorno del mio compleanno, simpatico no? Adesso che ci siamo riviste non voglio più perderti di vista. Devo scappare che sono in ritardassimo. Bacio bacio e chiamami, Rosa!

Rosa?”

BIVIO

37119e9d99e40c0fa2607f157a7b1807.jpgC’è solo un vetro che ci separa. Il vetro di un autobus.

E’ la mia protezione da te da quando sei mesi fa ti sorrisi. Educazione, gentilezza, pietà.

Non so esattamente cosa fece scattare le mie labbra. Ma non era disprezzo e neppure derisione. Forse i tuoi pantaloni troppo larghi o le tue infradito sotto la pioggia. La consapevolezza che l’unico punto che potevamo avere in comune era l’età. E così era diventato un appuntamento mattutino. Sapevo che alla fermata di via Santo Stefano ti avrei visto seduto sul marciapiede, avresti alzato il viso verso il mio finestrino e senza muovere un muscolo avresti girato la faccia dall’altra parte.

Ma quella mattina non incrociai solo il tuo sguardo. Tirasti fuori la lingua ed iniziasti a muoverla imitando un cunnilingus.  Non ho staccato gli occhi e tu non hai smesso rimuovere la lingua fin quando il bus non è ripartito. Solo allora sei scoppiato in una risata. Grassa, volgare.

Vedi, l’abito che porto non mi permette di esprimere le emozioni che provo soprattutto se sono contrarie alla morale comune. Ma io ti ho odiato e l’indulgenza, il cercare di capire le tue miserie sono crollate come un muro lesionato da un terremoto ed è rimasto il vuoto.

Per questo continuo a guardarti ogni mattina.

Ogni mattina fino a questa mattina. Perché stasera la baracca in cui dormi prenderà fuoco così come il resto del campo nomadi dove vivi. Ci saranno urla, pianti, morti e un fuggi fuggi generale tra il fumo acre, ma tu rimarrai legato alla tua branda e brucerai con lei.

Sono una suora e devo perdonare.

Ma sono anche una donna.

La tua lingua ha finito di roteare nella mia testa trascinandomi in peccato. Il castigo sarà mio.

Le fiamme puliscono, purificano, santificano.

Siane lieto.

PATTEGGIAMENTO

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Va bene, sono nervosa, e allora? Sono isterica, tirata come la corda di un violino e allora?  Io urlo come mi pare e tu non stare a preoccuparti delle mie corde vocali. No. Zitta, zitta che adesso parlo io e voi mi ascoltate mute. Ma lo sai, vero, che ho dormito poco? Lo sai, lo sai.  E sai anche che tu hai fatto di tutto per tenermi sveglia. Non ti sei certo risparmiata: ahhhhhh ohhhhhhhh, uhhhhhhh. E via di questo passo per tutta la notte, senza sosta, una lamentela continua. Ad un certo punto ho anche acceso il cellulare per chiamare il 113. Di questi tempi va a capire cosa succede in una camera. Se ti faceva così male potevi mandarlo fuori dal tuo letto già alle nove di sera o usare della vaselina.  Io capisco anche il tuo istinto da crocerossina e sono conscia del fatto che probabilmente la tua soglia di sopportazione al dolore è molto bassa ma ti giuro che ascoltando i tuoi lamenti dalla mia camera sembrava che ti stessero aprendo come una scatoletta scaduta.

 

E tu? Che cosa credi che non ti abbia sentito? La cosa che mi sconvolge anche ora è che tu eri sola e urlavi come lei: ahhhhh uhhhhh ohhhhhhhhh. Il fatto è che per un momento mi sono preoccupata anche per te. Ero certa che eri sola e quindi nessuno poteva farti del male. Poi ho capito.  Anche perché mi sono ricordata di quell’oggetto cilindrico che ho trovato, sabato scorso, appoggiato al bordo della vasca da bagno. Quello che se si schiaccia il pulsante iniziava a muoversi e a vibrare come un enorme vermone, si, proprio quello. Insomma non ho chiuso occhio tutta la notte, sembrava quasi che vi deste il cambio. Allora qui ci dobbiamo dare delle regole. Sono una pragmatica e la mia proposta è questa. O fissiamo un’ora limite per raggiungere l’orgasmo e nel caso di multiorgasmiche specifichiamo anche i quarti d’ora, o chiediamo al proprietario di insonorizzare le stanze, o mi invitate come ospite partecipante, perché anche io ho diritto alla mia bella dose di gorgheggi e poi solo così riuscirete a tapparmi la bocca.     

LAGNA

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Proprio a me dovevi capitare? No, dico, ce ne sono di persone che una donna ha occasione di incontrare nella sua vita no? Mi chiedo, perché tu?

Io ammetto le mie colpe. Mi fermo all’apparenza e all’apparenza fai la tua porca figura, ma poi? Quando ti si conosce meglio iniziano le domande che sai già che mai avranno una risposta per una tua ostinata incapacità a cercare di chiarire, di spiegare i mille perché che le donne vogliono conoscere. Io che sono abituata a ceste di rose in bocciolo e corteggiamenti serrati, frasi d’amore languide e bagni a due alla luce delle candele mi ritrovo a bere birra sul terrazzino di casa ascoltando radio radicale. Com’è accaduto? Quando? Dove avevo la testa?

Possibile che se io dico voglio il mare tu mi risponda preferisco la montagna e dopo una settimana d’urla si opti per il lago che si, è carino ma fa molto gerontoiatria? E poi, visto che sei qui mi chiedo perché dobbiamo passare tutte le domeniche in casa a romperci le palle ascoltando “domenica in ” io e tu dormicchiando sul divano per borbottare ancora nel dormiveglia ” vai a farmi un caffè altrimenti dormo”. E visto che ci siamo vorrei sapere per quale stupido motivo mi chiedi cosa indossare per poi fare quel cazzo che ti pare, senza contare che adori attraversare la strada fuori dalle strisce e indicare me al vigile che ci fischia come se tu non avessi potuto fare altro che obbedirmi, che dimentichi il regalo non dico per il nostro anniversario, di cui non ricordi neppure la data, ma neppure per il mio compleanno. Ora, fosse un giorno qualunque arriverei anche a giustificarti ma è una data che tutto il mondo ricorda e se non fosse altro che per quello dovresti ricordare anche tu.

E poi sei prepotente, egoista, supponente, arrogante, insolente e impudente e io , io…

Tu?

Io

Tu ed io adesso scopiamo.

NEGRA

CIPOLLE

Esiste un giorno nella vita di tutti in cui si ha voglia di dire no.
Per me quel giorno è questo.
Dico no e non mi alzo.
Dico no e me ne resto seduta su questo autobus di merda che mi porta in centro, mi porta a casa, perché sapete, per strano che vi sembri, anche io ho una casa, ho una vita, ho degli amici. Non sono soltanto due mani che cuciono vestiti per signore di classe.
Sono stanca signore, sono stanca come sua moglie, come sua madre, come tutte le donne che lavorano e  da qui io non mi muovo. Sono stanca di dover stare un passo indietro, sempre. Stanca di vedere il bicchiere dove ho bevuto frantumato come fossi infetta. Stanca del sole dell’Alabama che vi ha fritto il cervello, stanca di essere guardata e di non essere vista, stanca di stare zitta e di obbedire a leggi insensate. Sono una donna, solo dopo sono una negra. Riaccenda il motore e mi porti a casa anche in questo primo dicembre del  ’55. Ho le cipolle che mi aspettano a casa, ma dopo mi laverò le mani col limone e vedrà, domani non si sentirà l’odore della mia cena. Avrò un vestito decoroso, sarò pulita. Sono solo una negra stanca che vuole stare seduta perché le gambe fanno male anche a me, perché il tragitto è lungo e perché i sedili per noi negri sono sempre troppo pochi. Chiami chi vuole. Da qui non mi sposto. Mi solleveranno di peso i poliziotti bianchi e mi porteranno alla centrale e vuole ridere? Non ho neppure i dieci dollari per pagare la multa.
Mi chiamo Rosa Parks e faccio la sarta.

AFASIA

Mail scritta da cleopa a Virgilio che * angel * mi ha chiesto di pubblicare.
Concordando eseguo.

>Cara redazione di Virgilio,
>vi scrivo per chiedervi di chiarire a me come a tanti altri blogger
>tutto ciò che è accaduto giorno 20 luglio. Ho letto vari commenti,
>varie interpretazioni dell’accaduto, ho letto post di protesta, ho
>visto blog oscurati per protesta. Ho purtroppo letto anche quello che
>voi scrivete su il Blog della Redazione ed è stato quello che ho letto
>- presumo scritto da voi – che mi spinge a scrivervi. Vi scrivo dunque
>per capire meglio alcune vostre dichiarazioni perchè giuro che non mi
>sono affatto chiare. Inanzitutto, mia cara redazione, trovo
>assolutamente folle quell’attacco del post. Cosa significa “un breve
>post che non ho tanta voglia di scrivere, ma a cui sono costretta”???
>Volete forse dire che non vi stanno a cuore i vostri utenti e che
>rispondere ai vostri utenti è un fastidio che vi risparmiereste
>volentieri? Vi capisco anche io mi risparmierei volentieri la fatica
>di alzarmi per andare a lavorare e quando sono con i miei amici o i
>colleghi più cari giuro che dico frasi del tipo “che palle, quanto mi
>scoccia e così via” ma non mi sognerei mai di pubblicare frasi del
>tipo che so nella newsletter della mia azienda. Nè invierei una mail a
>tutti con su scritto: Che palle dover lavorare per voi. Sono frasi che
>si dicono agli amici mica in un blog comune. Quindi sono certa di aver
>interpretato male il senso della frase e sono certa che vorrete
>chiarirla a me ed a tutti gli altri che non l’hanno capita.
>Ma andiamo avanti ed arriviamo al “Caso Angel”. Mia cara redazione,
>leggo sempre sul tuo blog, questa frase “Non ho molto da aggiungere a
>quello che ho scritto. E’ una cosa brutta da dire andiamo ognuno per
>la nostra strada, ma io sono una persona pragmatica”. Ci stai
>invitando a lasciare la piattaforma Virgilio? Ovviamente, lo sappiamo
>tutti che il Blog è un servizio gratuito e quindi abbiamo meno diritti
>rispetto ai paganti ma tu sai bene più di me che i servizi gratuiti
>sono i cosiddetti servizi civetta quelli messi in piedi per convincere
>il potenziale cliente ad abbonarsi in seguito a servizi a pagamento.
>Ma se tu tratti così i tuoi clienti pensi davvero che io o gli altri
>che hanno letto questo autocommento decidano di abbonarsi o pagare
>qualcosa messo a disposizione da Virgilio? Ci sono ormai così tante
>piattaforme che stai pur certo che il potenziale cliente migrerebbe
>immediatamente su Libero, Tiscali o da qualsiasi altra parte.
>E quel commento che virgilioblog ha lasciato nel blog nn_funziona di
>angel, quello che recita testualmente così: Come abbiamo scritto in
>altri post, se non andiamo bene, fate bene a lasciarci. Troviamo che
>sarebbe corretto evitare di usare questi nostri spazi per insultarci a
>proposito di interventi che non abbiamo mai promesso, di
>malfunzionament i INEVITABILI che ci facciamo in 4 per risolvere, di
>presunti “silenzi” quando il blog della redazione e’ aggiornato.
>Quando non ci si piace piu’ ci si lascia, no? un saluto dallo staff
>
>….
>quello cosa significa, mio caro Virgilio? Ora siccome io sono convinta
>della buona fede di chiunque mi aspetto che tu chiarisca tutta la
>vicenda. Un post che inizi non con un “un breve post che non ho tanta
>voglia di scrivere, ma a cui sono costretta” ma con un “vi chiediamo
>scusa, forse ci siamo spiegati male e chiediamo scusa ad angel
>chiedendole di tornare a far parte della comunity”.
>Per essere certa che tu legga la mia opinione pubblico questa breve
>lettera sul mio blog, te la invio via mail ed invio anche il commento
>al Blog della Redazione. Ed aspetto. Una redazione che si rispetti
>(quella secondo i canoni classici dove lavora gente impegnata
>nell’informazione) sono certa che darà informazioni tempestive

NOTTI

Da noi, un tempo, c’erano i giorni per “ andare a morosa”. Erano il martedì, il giovedì, il sabato e la domenica, insomma i giorni pari. Nei giorni dispari si usciva con gli amici. Ovviamente parlo degli uomini perché le donne stavano a casa, sempre, sia in quelli pari che in quelli dispari e aspettavano.

Da noi, un tempo, c’erano uomini che si ungevano i capelli con la brillantina, si avvolgevano il tabarro intorno al corpo, mettevano un cappello unto sulla tesa, stringevano i pantaloni larghi in fondo con mollette da bucato, salivano su biciclette nere con la canna e passavano la sera in osteria giocando a briscola, tradendo la moglie e bevendo lambrusco.

Da noi, un tempo, le donne la sera si incontravano in filò nella stalla, con le bestie che muggivano e scaldavano le notti di rancori che maturavano con le nespole. I racconti si accavallavano coi sogni dei bambini e le ombre si riappropriavano del loro regno.

Da noi, un tempo, una ragazza secca disse a suo padre: “Sposo il figlio dell’oste” e il vecchio le rispose: “ Cineina, lasa perdar, al ga la faccia sgiaruneda” Ma per la sua preferita andò al mercato e comprò un vestito rosso spendendo i soldi di tutto un mese e sopportando i brontolii della vecchia che aveva sopportato i suoi tradimenti continuando a lucidargli le scarpe.

Da noi, un tempo, c’erano notti che la nebbia la tagliavi col coltello, ci appoggiavi contro le biciclette, ti pioveva addosso nebulizzata e ti ritrovavi a ridere, perchè non è vero che solo la neve rende felice.

Queste sono rimaste.