NEGRA

CIPOLLE

Esiste un giorno nella vita di tutti in cui si ha voglia di dire no.
Per me quel giorno è questo.
Dico no e non mi alzo.
Dico no e me ne resto seduta su questo autobus di merda che mi porta in centro, mi porta a casa, perché sapete, per strano che vi sembri, anche io ho una casa, ho una vita, ho degli amici. Non sono soltanto due mani che cuciono vestiti per signore di classe.
Sono stanca signore, sono stanca come sua moglie, come sua madre, come tutte le donne che lavorano e  da qui io non mi muovo. Sono stanca di dover stare un passo indietro, sempre. Stanca di vedere il bicchiere dove ho bevuto frantumato come fossi infetta. Stanca del sole dell’Alabama che vi ha fritto il cervello, stanca di essere guardata e di non essere vista, stanca di stare zitta e di obbedire a leggi insensate. Sono una donna, solo dopo sono una negra. Riaccenda il motore e mi porti a casa anche in questo primo dicembre del  ’55. Ho le cipolle che mi aspettano a casa, ma dopo mi laverò le mani col limone e vedrà, domani non si sentirà l’odore della mia cena. Avrò un vestito decoroso, sarò pulita. Sono solo una negra stanca che vuole stare seduta perché le gambe fanno male anche a me, perché il tragitto è lungo e perché i sedili per noi negri sono sempre troppo pochi. Chiami chi vuole. Da qui non mi sposto. Mi solleveranno di peso i poliziotti bianchi e mi porteranno alla centrale e vuole ridere? Non ho neppure i dieci dollari per pagare la multa.
Mi chiamo Rosa Parks e faccio la sarta.