RABBIA

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Signore, dimmi che lo vedrò ancora con gli occhiali sul naso guardare le persone di sguincio con l’aria annoiata di chi ha visto tanto e non si stupisce più di nessun racconto,. Dimmi che lo sentirò sospirare stanco e appesantito dalla fatica di respirare ma che avrà ancora fiato per borbottare sillabe incomprensibili per poi andarsene dando un ultimo sberleffo alla voglia di dialogare. Mai stato un grande parlatore, ma grande lavoratore si. Ripetimi mille volte che indosserà ancora le scarpe che gli ho comprato tanti Natali fa e che continuerà a mettersi i papillon colorati che solo lui sa vestire senza che le sua dignità ne venga intaccata o che infilerà ancora i panciotti di lamé sotto lo smoking senza perdere la sua serietà.
Mi fa rabbia adesso, non lo posso neppure odiare come vorrei o forse lo odio ancora di più perché neppure la soddisfazione di un sano odio posso adesso permettermi nei suoi confronti. Vorrei fargli da badante, ma il nostro pudore ce lo vieta, vorrei abbracciarlo, ma so che sarebbe imbarazzato a rispondere a quell’abbraccio, vorrei baciargli i capelli e contarglieli piano senza fretta di finire mentre legge il giornale vorrei togliergli il telecomando dalle mani e afferrargliele per accarezzare quelle vene che disegnano fiumi tortuosi in cui affonderei con la piroga. Vorrei mi sorridesse come sorride a M. ma so che io non mi posso permettere di rubargli neanche un suo sorriso. Non credo senta la mia mancanza, il fatto che non ci sia o sia dispersa e che raramente vada a trovarlo non lo hanno cambiato. Non credo neppure che mi abbia mai stimato tanto da provare nostalgia di me. Io si. E la sua assenza mi ha riempito di un rancore che mi avvelena.
Sei morto già una volta e il dolore è stato lo stesso, ma non credevo si potesse ripetere uguale, acuto, devastante. Ti ho salutato da lontano alzando la mano e tu sulla porta della cucina hai alzato la tua piegando impercettibilmente le labbra, ma erano i tuoi occhi pieni di paura che hanno inumidito i miei.
Dio Dio Dio ascoltami: piantala di pensare ai negri in africa, piantala di pensare ai poveri, non occuparti più dei sacerdoti, degli infedeli, degli arabi, dell’ecologia, dei disoccupati, di Don Benzi, dell’amazzonia, degli iracheni, del Burkina faso, dei carcerati, degli omosessuali, delle favelas e di questo mondo ingiusto . Occupati di lui.

BAGNO

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Il bagno di casa era rivestito di piastrelle verdi piccolissime, come tessere di un mosaico.
La vasca bianca, enorme con i rubinetti in acciaio. Il tappo che la chiudeva era di una damigiana. Non c’erano bagnoschiuma, shampoo, sali da bagno o candele profumate, c’era una saponetta Camay che come tutte le saponette Camay, se non veniva usata quotidianamente si seccava, si aprivano dei solchi profondi fino a dividerla in due saponette Camay: un caso di partenogenesi.
Il sabato sera c’era il rito del bagno.
Mia madre apriva i rubinetti spogliava me e mio fratello che entravamo nella vasca.
Questa promiscuità non mi infastidiva come invece mi irritava dover dividere la mia sporcizia con la sporcizia di un altra persona.
L’odore che usciva da quella stanza era l’odore del calore, lo stesso che senti quando la pentola bolle e tu sollevi il coperchio per aggiungere il sale grosso.
Si usciva dalla vasca quando i polpastrelli delle mani si incartapecorivano ed il gioco era spaventarsi con quelle dita vecchie che contrastavano con la freschezza dei corpi.
Hai mai provato a metterti le mani davanti al viso e serrare forte le dita per poi aprire gli occhi in quel buio artificiale? Erano gli” Occhi del Diavolo” quelli che vedevo e ridevo perchè li potevo far scomparire in qualsiasi momento.
Negli anni ho portato le mani al viso molte volte senza che i mostri se ne andassero.
Il bagno era finito.
La maglia di lana che pizzicava la pelle ancora umida era appoggiata al termosifone per tenerla calda, unica delicatezza di una madre frettolosa che aggiungeva borotalco Roberts alla pelle pulita e bagnata, quasi ad annullare tutto il lavoro fatto prima.
Non mi sono mai sentita pulita.

SCUSAMI

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Scusami. Non so neppure quante volte te l’ho domandato e per quante volte tu l’abbia fatto. Scusami di tutto l’odio che ti ho buttato addosso sentendomi ferita, scusami per gli scatti d’ira, per l’irruenza che metto nell’afferrare la vita, scusami per le parole dette con la rabbia che solo i ricordi sanno generare. Adesso devo solo dimenticarmi di te. Smettere di pensarti, smettere di domandarmi dove sei e con chi sei e se tornerai a casa ubriaco o ti fermerai in piedi appoggiato all’albero a vomitare, devo imparare a smettere di controllare la posta sperando che tu mi abbia scritto e smettere di guardare le tue foto mentre sorridi con gli occhiali nuovi, smettere di aver voglia di te. Una volta ti scrissi che se lo scrivere mi da da vivere ho bisogno di te per continuare a farlo. Ma non posso pretendere che tu continui a starmi vicino senza neppure percepire le royalties. Non ho mai fatto parte della tua vita. L’ho solo sfiorata di striscio come un’auto che sfiora il guard-rail in un sorpasso azzardato. Non me lo hai mai, giustamente, permesso. Mi sono concessa il lusso di sognarlo così come ho sognato di te quella notte e dei tuoi capelli neri e del sudore che scendeva dalla tua fronte cadendomi in faccia mentre mi scopavi e della tua bocca umida che mi sorrideva. Eri talmente reale nel sogno che al risveglio ero esausta come dopo una notte di sesso. E allora ringrazio Dio di avermi concesso, per un anno, di starti vicina, come potevo anche se non come avrei voluto. Hai ragione quando dici che non sono una ingenua ma per una volta ho sperato che le cose andassero in maniera diversa e devo darti ancora ragione quando dici che non mi hai mai fatto promesse ma le illusioni nascono senza che tu ne possa fermare la crescita. Tu sei speciale, non io.Tu hai una vita speciale, non io. E non è vero che sia inutile o meschina. Io sono inutile e meschina. Io, che ti invidio la pazienza che hai nello spiegarmi le cose, la precisione che metti nel tuo lavoro, la dolcezza che hai avuto con me, io che posso solo invidiare la bellezza della tua famiglia e il rapporto che riesci ad instaurare con i tuoi amici. Invidierò le fragole che ti incontreranno senza rendersi conto della fortuna di poter vedere il tuo sorriso e le tue gambe lunghe, invidierò il tuo letto tutte le notti. Ti ho sempre creduto capace di capire tutto, e questo è assai più raro che perdonare tutto. E ora ti dico addio, con infinita dolcezza, e ti chiedo di nuovo scusa, il più umilmente possibile, non tanto per le cattiverie che ti ho detto, ma per averti importunato per tanto tempo.

ASCOLTAMI

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Ci passavo i pomeriggi estivi osservando il viavai delle formiche: ne adocchiavo una, una a caso, e la seguivo, novella zoologa, fino a vederla scomparire. Allora armata di alcool bruciavo l’ammasso nero che smetteva di correre e godevo delle fiamme ,dele calde lingue di fuoco unite alla calura estiva. Mi domando perchè mi scavo dentro con te, perchè fai riemergere lontani ricordi che si portano sul groppone una infanzia beata, quasi a voler sbeffeggiarmi di una maturità complessa. In questa epoca bizzarra, dove plaudono alla affermazione amo più gli animali delle persone, io, in controtendenza affermo: amo gli esseri umani più delle bestie. Ed anche in questo mi trovo spaesata, poco politicaly correct, ma chi se ne frega. Vivo il mio diritto di cercare rapporti umani e non bestiali. Potra’ mai un pesce rosso o una tartaruga marina darmi il suono di una viola o tempestarmi il cuore come puo’ fare l’arroganza di un pianoforte? Ma è con un altro racconto che ti voglio abbracciare. E’ un sogno invernale, che mi sono portata dentro per tanto tempo. C’è la guerra, ci sono i tedeschi, alti biondi, parlano un linguaggio duro, la loro lingua non è dolce ma sono belli con le loro divise nere. Ci fanno allineare in casa davanti al termosifone Vedo mio padre, mia madre le mie sorelle i miei fratelli mia nonna mio nonno e vedo me che li fisso Hanno le armi c’è odore di maschio in casa, un odore forte di selvatico di sudore rappreso un odore sgradevole No, non potete ucciderli tutti Esco io dalla fila e mi immolo per gli altri Rimando sconvolta soltanto dal particolare che non sento voci che mi trattengano Mi mandano a morire, ma non apprezzano il mio sacrificio. Almeno Abramo e Isacco di biblica memoria sono passati alla storia. Di me non rimarra’ che un estremo sacrificio per salvare una famiglia spaccata dall’odio in cui è inutile la mia presenza e dunque che sia fatta la sua volonta’ .