BAGNO

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Il bagno di casa era rivestito di piastrelle verdi piccolissime, come tessere di un mosaico.
La vasca bianca, enorme con i rubinetti in acciaio. Il tappo che la chiudeva era di una damigiana. Non c’erano bagnoschiuma, shampoo, sali da bagno o candele profumate, c’era una saponetta Camay che come tutte le saponette Camay, se non veniva usata quotidianamente si seccava, si aprivano dei solchi profondi fino a dividerla in due saponette Camay: un caso di partenogenesi.
Il sabato sera c’era il rito del bagno.
Mia madre apriva i rubinetti spogliava me e mio fratello che entravamo nella vasca.
Questa promiscuità non mi infastidiva come invece mi irritava dover dividere la mia sporcizia con la sporcizia di un altra persona.
L’odore che usciva da quella stanza era l’odore del calore, lo stesso che senti quando la pentola bolle e tu sollevi il coperchio per aggiungere il sale grosso.
Si usciva dalla vasca quando i polpastrelli delle mani si incartapecorivano ed il gioco era spaventarsi con quelle dita vecchie che contrastavano con la freschezza dei corpi.
Hai mai provato a metterti le mani davanti al viso e serrare forte le dita per poi aprire gli occhi in quel buio artificiale? Erano gli” Occhi del Diavolo” quelli che vedevo e ridevo perchè li potevo far scomparire in qualsiasi momento.
Negli anni ho portato le mani al viso molte volte senza che i mostri se ne andassero.
Il bagno era finito.
La maglia di lana che pizzicava la pelle ancora umida era appoggiata al termosifone per tenerla calda, unica delicatezza di una madre frettolosa che aggiungeva borotalco Roberts alla pelle pulita e bagnata, quasi ad annullare tutto il lavoro fatto prima.
Non mi sono mai sentita pulita.