ESASPERAZIONE

 

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Sono stanca.

Stanca.

Stanca di leccare lacrime, stanca di accompagnare sotto braccio la sofferenza, stanca di consolare occhi perduti, stanca di fare il giullare per far respire un’aria pulita, stanca di caricarmi di dolore.

E oggi, tu non c’eri. Oggi sei rientrato nella tua tana sudicia di male cercando un odore, un oggetto, un respiro.

Non ci poteva essere, lo sapevi e allora di nuovo lo stordimento necessario, la fatica di respirare, la sconfitta dell’impotenza. Che poi ti vengano a parlare di Dio, di resurrezione, di speranza di fai le cose giuste. Chi cazzo stabilisce il giusto? Non quella pletora di cantori sudati, ne’la triade di mercanti sconfitti dal tempo.

La vuoi tu la mia sorte? Tu che pontifichi, la vuoi vivere tu la mia vita? Dov’eri mentre mi spezzano le ossa a randellate, dov’eri quando quella notte non riuscivo a guidare perché i miei occhi erano pieni di lacrime? Perché non mi hai preso le mani lerce? Puzzavo troppo di vomito e urina?  E allora, adesso, taci. Taci e non parlarmi più.

Ho chiuso il portone del mondo. Lascia che il toro mi incorni, non farà più male che non averti tra le braccia.

La vostra preoccupazione arriverà fino a mezzogiorno poi sarete di nuovo felici di non avermi partorito.

BOOM

 

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Ma che cazzo è successo?

 

Non riesco ad alzarmi da terra. Devo alzarmi. Aspetta. Appoggio i gomiti e sollevo il busto. Sangue. Troppo sangue per essere tutto mio. Quella ragazza è morta. So che è morta. Ha gli occhi sbarrati che guardano il cielo e in mano tiene ancora stretta la borsa della spesa. Urla. Mi fa male la testa. Smettetela di urlare e aiutatemi, cazzo. Niente, nessuno mi ascolta. Cazzo, cazzo, cazzo. E adesso arriverò tardi all’incontro e chi la sente la mia segretaria. Devo avvisarla, devo trovare il cellulare ma è tutto così faticoso Forza. Pensa, pensa. Era nella borsa, si nella borsa, lo avevo messo dentro alla borsa così non mi sformava il vestito. Che cretino, tutto per il vestito che adesso è pieno di schizzi di sangue, neanche tutti miei. Oh Dio, Dio. Aiutatemi. Sento solo lamenti. Mi devo trascinare vicino a quella signora ma i vetri mi tagliano le braccia. Devo raggiungerla e far smettere di far piangere quella bambina che sta sopra di lei e continua a chiamarla urlando. Di chi è questa gamba? Che schifo. Ero in banca, si, ero in banca in coda davanti a me a signora con la sporta della spesa .Ricordo l’odore del suo cappotto che sapeva di naftalina. Era talmente fastidioso che ho girato la testa verso la cassa 3. Lo ricordo l’uomo davanti alla cassa 3. Urlava, parlava di mutuo, il cassiere guardava da un’altra parte alzando gli occhi al cielo e l’uomo alzava il tono della voce e il cassiere allargava le braccia, poi l’uomo si è messo a piangere continuando ad urlare e ha messo una mano nella tasca del cappotto. Era il mio turno e ho allungato l’assegno alla ragazza della cassa 2 incazzato per l’attesa. Poi ricordo solo che mi sono sentito sollevato e mille spilli che mi si conficcavano nel corpo.

Sirene.

Sono qui. Sono vivo. Non riesco a parlare ma sono ancora vivo. Devo correre in ufficio. Venite qui.

 

RABBIA

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Signore, dimmi che lo vedrò ancora con gli occhiali sul naso guardare le persone di sguincio con l’aria annoiata di chi ha visto tanto e non si stupisce più di nessun racconto,. Dimmi che lo sentirò sospirare stanco e appesantito dalla fatica di respirare ma che avrà ancora fiato per borbottare sillabe incomprensibili per poi andarsene dando un ultimo sberleffo alla voglia di dialogare. Mai stato un grande parlatore, ma grande lavoratore si. Ripetimi mille volte che indosserà ancora le scarpe che gli ho comprato tanti Natali fa e che continuerà a mettersi i papillon colorati che solo lui sa vestire senza che le sua dignità ne venga intaccata o che infilerà ancora i panciotti di lamé sotto lo smoking senza perdere la sua serietà.
Mi fa rabbia adesso, non lo posso neppure odiare come vorrei o forse lo odio ancora di più perché neppure la soddisfazione di un sano odio posso adesso permettermi nei suoi confronti. Vorrei fargli da badante, ma il nostro pudore ce lo vieta, vorrei abbracciarlo, ma so che sarebbe imbarazzato a rispondere a quell’abbraccio, vorrei baciargli i capelli e contarglieli piano senza fretta di finire mentre legge il giornale vorrei togliergli il telecomando dalle mani e afferrargliele per accarezzare quelle vene che disegnano fiumi tortuosi in cui affonderei con la piroga. Vorrei mi sorridesse come sorride a M. ma so che io non mi posso permettere di rubargli neanche un suo sorriso. Non credo senta la mia mancanza, il fatto che non ci sia o sia dispersa e che raramente vada a trovarlo non lo hanno cambiato. Non credo neppure che mi abbia mai stimato tanto da provare nostalgia di me. Io si. E la sua assenza mi ha riempito di un rancore che mi avvelena.
Sei morto già una volta e il dolore è stato lo stesso, ma non credevo si potesse ripetere uguale, acuto, devastante. Ti ho salutato da lontano alzando la mano e tu sulla porta della cucina hai alzato la tua piegando impercettibilmente le labbra, ma erano i tuoi occhi pieni di paura che hanno inumidito i miei.
Dio Dio Dio ascoltami: piantala di pensare ai negri in africa, piantala di pensare ai poveri, non occuparti più dei sacerdoti, degli infedeli, degli arabi, dell’ecologia, dei disoccupati, di Don Benzi, dell’amazzonia, degli iracheni, del Burkina faso, dei carcerati, degli omosessuali, delle favelas e di questo mondo ingiusto . Occupati di lui.