VESTITI

“Fateci caso, i grandi comici sono quasi sempre vestiti come dei grandi signori. Charlot portava frac, bastoncino e bombetta, Totò quasi lo stesso, Oliver Hardy gioca sempre con la sua cravatta. SOlo che sono abiti incongrui: giacca troppo stretta, pantaloni troppo corti, camicie dai colletti allacciati, ecc. Spesso basta una divisa a fare l’eleganza: un nuovo ricco, purchè vestito (anche se male) da vecchio ricco, può tranquillamente sedere alla tavola dei Vip”.
V.Cerami

MUTANDE

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Nel tempo ho imparato a riconoscerli dalle mutande.
Quelli con la mutanda che esce dai pantaloni li elimino a priori. Senza appello. Non mi interessa se non sono trend in questa selezione, il fatto vero è che trovo intollerante per la mia vista girare intorno ad un uomo per vedere se oltre alla scritta CK c’è anche un brandello del cervello. Si perché quelli con le mutande firmate hanno anche la camicia firmata, a collo alto, aperta a mostrare un petto depilato ed un tatuaggio indice della loro mascolinità che non risulterebbe in nessun’altra situazione. Poi ci sono quelli dalla mutanda colorata: rossa con il fascione dell’elastico di tinta contrastante, gialla zebrata per il tipo selvaggio e anche nera che mi provoca una certa inquietudine per l’incertezza che da’ circa la pulizia del portatore sano delle stesse. Tralascio volontariamente gli uomini che portano il perizoma concentrandomi invece su quelli che portano le mutande a calzoncini. Dopo anni di testicoli incerti su dove era meglio appoggiarsi e sedute psicoanalitiche sul dove era opportuno sballottare il pisello in larghi boxer che solo Cary Grant sapeva portare con dignità sono finalmente tornati i boxer di maglia contenitiva che evita inopportuni ballamenti.
Un tempo erano le mamme ad acquistare le mutande ai figli. La scelta era facile. Andavano in merceria quando andava bene o al mercato da quel vecchietto allampanato che portava la sua merce in 3 cassette di legno. Le taglie variavano, ma il colore era unico, il bianco. Una classica mutanda bianca di cotone con il triangolo rinforzato davanti. Solo in rarissimi casi, le madri più evolute le acquistavano con l’apertura strategica di lato immaginando fosse più veloce tirarlo fuori senza nemmeno abbassare i pantaloni: era sufficiente che la cerniera non si inceppasse.
Di questi se ne trovano ancora e sono questi che mi fanno tenerezza.

COLORI

Colonna sonora di Stefano Benni

Bach giardini di Versailles
Mingus la mattina a Venezia
I Beatles la finestra del liceo
Lou Reed le botte con la polizia
I King Crimson una donna
E’ necessario che spieghi?

Vivaldi un campeggio in Spagna
Archie Sheep i miei amici arrabbiati
Rolling Stones voglia di scopare
Dalla i colli in macchina
Joe Cocker il mio ospedale
A voi non è mai capitato?

Ciajkovskij gioventù e pugnette
Coltrane la pioggia a Reggio
Verdi mio zio cacciatore
Brel la mia stanza a Parigi
e Mama Bea un’altra donna
E mentre scrivo ascolto
Brahms. E voi? Avete
una colonna musicale
per la vostra vita
a colori?

ERRORE

Accettai quell’invito per noia e per l’insistenza dei miei che mi volevano accasata. Lui si presentò alle sette di mattina, come da accordi e già l’alzataccia mi aveva provocato una irritabilità che durante il resto della giornata potè solo peggiorare. Si presentò con una giacca verde che ho ancora negli occhi, il viso sbarbato di fresco e ciuffi di peli che gli uscivano disordinatamente dalle orecchie e dalla maglietta bianca, spandendo intorno l’odore inconfondibile dell’Axe-Uomo. Salimmo in macchina presumo lavata per l’occasione perché puzzava in modo insopportabile di arbre magique alla fragola che unito al suo deodorante mi provocò un conato che subito trattenni per deferenza e buona educazione. Chiaramente non fumava e non sopportava l’odore della sigaretta che avrei volentieri acceso se non altro per profanare quegli odori da profumeria Avon. Chiaramente iniziò a chiacchierare senza prendere fiato per tutti i 70 km che ci separavano dalla meta che aveva fissato. E chiaramente era uno di quelli che non fermerebbe la macchina per una sosta in autogrill neppure sotto minaccia di lasciar liber sfogo a ogni flatulenza del corpo. I miei grugniti non scoraggiarono la sua euforia quando arrivammo in zona fiera. Fu solo allora che mi resi conto che mi aveva portato all’esposizione annuale dell’edilizia: aveva avuto i biglietti d’ingresso omaggio. Lo seguii catatonica nei vari padiglioni e tra coimbentazioni, isolanti da solaio, tetti fotovoltarici e pitture antimuffa, mi dissolsi per sempre un gruppo di muratori calabresi.

BILIARDO

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Adesso tu ti siedi qui, qui di fronte a me e mi ascolti. Ti tolgo gli occhiali così non si romperanno e non potrai dire che non sono stata premurosa con te. Voglio che i tuoi occhi guardiano i miei, voglio che tu trattenga il respiro ascoltando quello che devo dirti.
Ti voglio fermo, immobile mentre ti spiumo i capelli col rasoio .
Adesso ti lego con la corda sottile per fare i salami, si, quella sottile che ti sega le mani se tiri troppo forte. Faccio male vero? Lo so, ma ci farai presto l’abitudine, ci si abitua a tutto anche al dolore. Adesso mentre ti spezzo il braccino destro ti racconto una storia che inizia a primavera quando gli ormoni entrano in fibrillazione e inizi con le grandi pulizie pasquali. Forse è per quello che entrai in quella stanza affollata, piena di fumo e confusione.
Si giocava a biliardo.
Zitto.Quando ti taglierò i legamenti del ginocchio sarà peggio te lo assicuro.
Tu non mi hai notata,troppo preso da altre persone, altre donne che ti giravano attorno.
Io si.
Forse eri già talmente ubriaco da non accorgerti che ero io e non l’altra e così senza neanche guardarmi in viso hai iniziato a giocare. Solo dopo la battuta iniziale mi hai detto: -Pensavo fossi un’altra, per quello ho accettato.-.Sto ancora pagando il dentista perché riesca ad aggiustarmi i denti che si sono sgretolati dal colpo che mi hai sferrato in piena faccia. Ho detto- Ok, nessun problema, smettiamo e gioca pure con l’altra- Era solo doloroso sorridere perché i denti spezzati mi tagliavano le labbra e il sangue usciva dalla bocca, ma il più era farci caso.
Si, lo so, che i ferri da cavallo inchiodati sotto la pianta dei tuoi piedi sono fastidiosi, ma pensa in positivo: non dovrai mai più comprarti un paio di scarpe.
Ma il tuo capolavoro lo compisti dieci minuti più tardi quando avvicinandoti con una faccia tosta che pure tua madre avrebbe disconosciuto sbottasti in un- L’altra è scomparsa, mi vai bene anche tu come seconda scelta- Sono una incassatrice fantastica e proprio come una boxeur rintronata al 16 round, mi sono rialzata e ho ripreso a lottare. Se avessi previsto il resto avrei buttato la spugna dopo il secondo. Lo sai, non sono mai stata una grande lottatrice.
Adesso te lo taglio e lo terrò sul comodino di fianco al letto. Lo vedrò avvizzire e quando sarà diventato un bastoncino di vaniglia, lo scioglierò nel latte della torta margherita.

TELEFONATE

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Credo che la caratteristica fondamentale degli uomini sia quella di scomparire. E’ una abilità straordinaria che solo loro possiedono e credo pure che se la passino per tradizione orale. Non ho mai trovato infatti un documento scritto a risprova del fatto, ma la casistica mi da ragione. Avete mai provato a chiedere ad un maschio maggiorenne conseziente:- Quando ci rivediamo?- La sua risposta nella maggior parte dei casi sarà:- Ti chiamo io- E infatti lo fa i primi tempi della vostra relazione, insomma fin quando non gliela date atrofizzando quella parte del vostro cervello che continua a ripetervi:- Che cazzo fai? Lo sai che dopo se ne va….- Niente da fare: la bestia vi ha talmente intenerito che non potete credere che vi abbandonerà al prossimo autogrill Pavesi. A quel punto, dopo aver tempestato le amiche di chiamate disperate, litigato con vostra madre che non puo’ capire perchè lei non sa cosa si prova, mandato a puttane il rapporto col vostro datore di lavoro, cominciate a studiare una strategia. La prima domanda è: ” quando tempo deve passare perchè io possa dire che è scomparso?” E’ chiaro che un giorno è poco, non sufficiente per allarmare la vostra sensibilità, 5 giorni iniziano a preoccuparvi ma siete ancora in estasi per la pseudo scopata che vi ha dato e riuscite ancora a sopportare l’attesa. Passa una settimana. Niente. Ok. Mi preoccupo. Il mio amor proprio inizia a sentirsi ferito.Ma come io l’ho data al bastardo e lui manco una chiamata? Lo sapevo, lo sapevo che non dovevo farlo…. anche mia nonna me lo ha sempre detto e io che non ci credevo e ci ricasco tutte le volte… Ma forse ha avuto da fare… impegni…. Forse il lavoro…. provo a telefonare io fingendo di aver sbagliato numero, di aver letto la riga sbagliata, di aver schiacciato l’invio con troppa fretta perchè “sai dovevo parlare con Carlo per un lavoro urgente e beh tu sei sotto Carlo nella rubrica del mio cellulare….” Si ecco faccio così… Suona… -Si?- – Omiodio devo aver schiacciato il tasto sbagliato, sai dovevo chiamare Carlo per un lavoro urgente e tu sei….- – Non importa, capita, ciao- Uhmm e adesso? Nonimportacapitaciao.Ma è quello tutto quello che deve dirmi? HA sentito la mia voce e tutto quello che mi dice è : Nonimportacapitaciao. Gli ho anche dato modo di essere geloso e lui che fa? mi dice Nonimportacapitaciao. Calma. No non sto calma. Spero che gli prenda uno dei suoi attacchi di allergia al polline o meglio ancora spero che entri un gatto nella sua camera e si strofini sul suo letto così domattina avra’ gli occhi talmente gonfi e lacrimosi da non riuscire ad aprirli e quando scenderà dal letto a occhi chiusi spero inciampi nella pedana e nel tentativo di frenare la caduta si sloghi il polso destro così neanche più le seghe riuscirà a farsi! Ma io non lo chiamo, no, non lo chiamo, piuttosto che chiamarlo mi mangio il polpastrelli delle unghie……. 33368 …. no ho detto no! 33…. ecco… non è che lo voglio chiamare, ma sono le dita che compongono il numero da sole…. oddio non riesco a fermarle… 333682…. Ciao, mi manchi……