MUTANDE

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Nel tempo ho imparato a riconoscerli dalle mutande.
Quelli con la mutanda che esce dai pantaloni li elimino a priori. Senza appello. Non mi interessa se non sono trend in questa selezione, il fatto vero è che trovo intollerante per la mia vista girare intorno ad un uomo per vedere se oltre alla scritta CK c’è anche un brandello del cervello. Si perché quelli con le mutande firmate hanno anche la camicia firmata, a collo alto, aperta a mostrare un petto depilato ed un tatuaggio indice della loro mascolinità che non risulterebbe in nessun’altra situazione. Poi ci sono quelli dalla mutanda colorata: rossa con il fascione dell’elastico di tinta contrastante, gialla zebrata per il tipo selvaggio e anche nera che mi provoca una certa inquietudine per l’incertezza che da’ circa la pulizia del portatore sano delle stesse. Tralascio volontariamente gli uomini che portano il perizoma concentrandomi invece su quelli che portano le mutande a calzoncini. Dopo anni di testicoli incerti su dove era meglio appoggiarsi e sedute psicoanalitiche sul dove era opportuno sballottare il pisello in larghi boxer che solo Cary Grant sapeva portare con dignità sono finalmente tornati i boxer di maglia contenitiva che evita inopportuni ballamenti.
Un tempo erano le mamme ad acquistare le mutande ai figli. La scelta era facile. Andavano in merceria quando andava bene o al mercato da quel vecchietto allampanato che portava la sua merce in 3 cassette di legno. Le taglie variavano, ma il colore era unico, il bianco. Una classica mutanda bianca di cotone con il triangolo rinforzato davanti. Solo in rarissimi casi, le madri più evolute le acquistavano con l’apertura strategica di lato immaginando fosse più veloce tirarlo fuori senza nemmeno abbassare i pantaloni: era sufficiente che la cerniera non si inceppasse.
Di questi se ne trovano ancora e sono questi che mi fanno tenerezza.