TITI

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Tu sei sempre appartenuto alla categoria “Troie”, quegli uomini ai quali difficilmente si puo’ dire di no. Scherzavi sempre per quel tuo naso importante, per quei capelli neri, drittissimi che ti cadevano sugli occhi, per quelle donne che portavi a casa e dicevi – Mica la sposo, la scopo e basta, mamma – scandalizzando tutta la famiglia che nonostante tutto ti adorava. Bello, come tutti quelli della nostra razza, anche tu avevi quel marchio sulla pelle, come me, come tua sorella, come mio padre. Abbandonavi diamanti grossi come patate e orecchini di rubini e bracciali di perle tempestati di smeraldi come Hansel lasciava briciole di pane. Non te n’è mai fregato niente dei soldi. Avevi il tuo sorriso e quello non te lo avrebbero mai rubato. Non dovevi blindarlo nel baule dell’auto come il resto, quello lo regalavi a tutti così come a me regalavi gioielli di cui neppure immaginavo il valore perché eri tu la vera ricchezza che sapevo di avere. Tu che te ne sei andato a 14 anni in un’altra casa, ostile, diversa, lontana, ma con un sorriso da cagacazzi da permetterti di conquistare il mondo. E lo hai fatto.
Sono cambiate molte cose sai da quel viaggio in auto che abbiamo fatto insieme e in cui tu ti ostinavi a mettermi in imbarazzo chiedendomi la differenza tra il bue e la mucca. Sarebbe stato il tuo ultimo viaggio.
Ti ho amato come si puo’ amare a 15 anni.
Ho una foto di te mentre dormi. L’ho rubata all’album di famiglia. Sei disteso sul prato, le braccia abbandonate, le gambe scomposte. Doveva essere un ricordo è diventato un presagio.
Era una festa quando tornavi. “ Uccidete il vitello grasso e stappate le bottiglie e si faccia festa per quel figlio di puttana che ritrova la strada di casa.
Un giorno non sei tornato più. Il tuo Mercedes non è più entrato nel cortile.
Ti hanno riportato a casa in un’altra auto e non si è fatta festa quella sera.