SERVA

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Veniva a fare le pulizie a casa nostra. Non era vecchia ma era sciupata con quei capelli dritti come una scopa di saggina e delle fessure tra i denti rendevano inutile l’utilizzo del filo interdentale. Eppure non potevi sottrarti al contagio di quella risata sguaiata mischiata a frasi incomprensibili di un dialetto inventato da anni di lavoro al nord. Le sue guance avevano lo stesso rossore dei bimbi dopo una corsa a chi arriva primo e negli occhi aveva tutti i colori dell’allegria. Il marito aveva ottenuto una pensione di invalidità credo all’età di 7 anni e non aveva mai conosciuto la fatica del lavoro, in compenso la accompagnava a lavorare e la veniva a raccogliere verso sera con l’auto lavata, quando i morsi della fame si facevano insistenti nel suo stomaco.
E lei saliva ridendo su una vecchia fiat 500 giallo ocra salutandomi con la mano screpolata di chi non conosce l’uso dei guanti di gomma, strane diavolerie moderne che si ostinava a non voler usare.
Un giorno la sentii arrivare dietro di me, sentii il suo respiro trattenuto e la curiosità di capire quei segni che facevo con una penna su un foglio: “ Scrivi signorina?” “ Leggi” “ Non so leggere e non so scrivere signorina” “ Dai, non prendermi in giro” “ Te lo giuro signorina, non sono mai andata a scuola ma mi piacerebbe sapere come si fanno quei segni sui fogli e cosa vogliono dire” “ E come fai a firmare?” “ Faccio la X e quella, ti giuro signorina, la so fare proprio bene”. Quel giorno mi raccontò delle due case che aveva in Calabria e di quel figlio che voleva far pedinare perché era certa che sciupava i soldi con le femmine, quelle che si fanno dare i soldi.
Fu a marzo che quell’uomo montò il portapacchi sulla 500 e se la riportò al paese e lei, dopo un mese, andò dal prete per fargli comporre il nostro numero di telefono “ Ciao signorina….”