DISTACCHI

Lui non lascia. Mai.
Lui ti porta all’esasperazione ma non sa troncare i rapporti. E perché dovrebbe? Quando la storia sta finendo chi glielo fa fare di prenderti per mano di farti sedere sul sofà e cercare di spiegarti il motivo dell’abbandono? Nessuno. Infatti non succede. Nella maggior parte dei casi ti esaspera al punto che sei tu, donna emaciata da un amore divoratore, fragile pulzella aggrappata anche ad un movimento di sopracciglio, esasperata dalle sue uscite notturne e dalle sue scomparse settimanali, che trovi il coraggio di chiudergli la porta in faccia cercando di centrargli il naso. Io che ti ho amato credendoti un un pilota d’aerei e solo dopo un mese ho scoperto che guidavi il furgone della Galbani, io che ti ho amato credendoti un medico e non solo non eri ostetrico ma neanche avevi finito il corso in croce blu. Io che ti credevo regista televisivo e invece prepari le recite di Natale all’asilo delle suore di Viale Rossini. Ma sono andata oltre perché eri tu l’uomo che avevo scelto e non mi importava se tornavi puzzolente di caglio o di disinfettante o di pipì di bambini, che sarà anche santa, ma puzza come quella dei grandi. E mentre parlo, hai quello sguardo tra lo stupito, ma anche stupido, e l’ironico e non realizzi ancora come mai ti sei potuta stancare di uno che mi metteva l’ascella sotto il naso chiedendomi se puzzava al punto di doversi fare una doccia, o non si capacita della smorfia di disgusto che ti assaliva quando si toglieva le scarpe dopo la partita a calcetto settimanale. Perché sono i piccoli gesti conditi con la quotidianità della confidenza che tarlano quell’amore che credevi immutabile. E allora prendiamo il coraggio a due mani e poniamo l’ultimatum. Primo errore. Non sfidare mai gli uomini sul loro terreno: lo conoscono troppo bene per perdere. Noi continuamo a parlare a rinfacciare, a urlare ” e poi c’è stata quella volta” ” …per non parlare di quel giorno…” E quando siamo lì lì per sfoderare il gran finale di strilli e di j’accuse, testarde e ostinate ci avventuriamo verso il secondo definitivo errore indicando loro la porta di casa che aprono uscendo per sempre dalla nostra vita mentre l’ultima rivendicazione ci muore in gola. E rimaniamo lì ,sul divano, a sbrodolarci di lacrime e latte con le Macine del mulino bianco.