HEADCHOPPER

 

 

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Sono una head chopper, siamo pochissimi. Le donne poi, le conti sulle dita di una mano.

 

Vinsi le titubanze del mio primo datore di lavoro con piglio sicuro. In un giorno licenziai 120 operai, 37 impiegati, 10 quadri e 2 manager senza battere ciglio e divertendomi, la sera stessa, ad una festa organizzata dal mio titolare. Nei momenti di crisi io gongolo e sono molto richiesta: arrivo, licenzio, prendo i soldi e parto. Mi scivolano addosso le scuse, i pianti, le giustificazioni i “cerchi di capire” associati ai “ e io adesso come trovo un altro posto di lavoro” i “ ma non ha un minimo di pietà” “ Ho un mutuo da pagare e un cane da mantenere” e i “ Mi fa schifo lei e il suo mestiere di merda” Nei primi tempi, il fatto che fossi una donna suscitava ilarità e le frasi che si rincorrevano erano sempre le stesse “ Non ce la farà! E’ un lavoro troppo duro, si commuoverà, a fine giornata sarà distrutta”. Niente di più falso. Vivo bene con me stessa e coi soldi, i tanti soldi che guadagno. E sono incorruttibile. Certo, ci hanno provato. Prima con ceste alimentari, come se mi mancasse il pane. Rispedite al mittente. Poi con regali costosissimi, gioielli, abiti, borse Hermes, auto decappottabili. Mai abboccato. Mazzette, tangenti, conti aperti alle Cayman. Infine prestazioni sessuali offrendomi uomini per una notte intera. Ma figuriamoci! Questa è la mia forza o meglio lo era. Fino ad oggi.

Oggi è entrata la signora Amalia Pinta, 50 anni, laurea in economia, separata, 3 figli di cui uno down che vivono con lei, entrata in azienda 25 anni fa, non una nota, non uno sbaglio contabile, media ore di lavoro in un giorno 10, e mi ha guardato dritto negli occhi. Ho dovuto abbassare lo sguardo. Per la prima volta mi sono sentita a disagio. La signora Pinta ha iniziato a slacciarsi la camicia e sfilarsi la gonna rimanendo in mutande.

“Se vuole anche queste me le venga a togliere lei”.

Mi sono alzata e l’ho fatto.

“ Per quello che mi riguarda, adesso può anche uscire dal mio ufficio”.

Ecco perché gioco con questo paio di mutande, non pensare male e versami ancora un Lagavulin, Giorgio, Walter, Peppino o come cazzo ti chiami. Ho la stanza 745. Quando chiudi il bar vieni a vedermele addosso.