HEAVEN

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Sinceramente avrei preferito trascorrere la giornata di oggi in casa seduta sulla mia poltrona preferita a guardarmi la tv dopo aver dato una scorsa ai giornali, ma in casa c’era fibrillazione. Hanno prenotato il ristorante, chiamato una valanga di cugini, nipoti, figli di cugini e figli di secondo letto. Sono arrivati cesti di fiori con imbarazzanti biglietti d’auguri. Quella scorbutica della portiera mi ha portato una primula gialla ed apprezzo lo sforzo. Mi hanno svegliato alle 6 e io detesto da sempre le levatacce e come se non bastasse mi hanno obbligata a farmi la doccia come se non sapessero che ogni mattina assolvo queste elementari abluzioni corporali anche senza il loro aiuto, poi sono andate attorno al mio armadio, quello in noce comprato quando mi sposai 70 anni fa: lo scegliemmo insieme, io e il mio Peppo, anche se costava tanto ma lo pagammo fino all’ultima lira e non ce ne siamo mai separati.  In quell’armadio c’è ancora un suo paio di pantaloni, il resto lo diedi alla Caritas ma quelle braghe da lavoro non le ho mai volute lasciare, raccontavano troppo di noi. 

Vuoi proprio che te lo dica? Va bene. Non è tanto invecchiare che mi da fastidio quanto il modo con cui le persone si approcciano a te quando scoprono che ho 90 anni.

Di solito iniziano con una trasformazione della mimica facciale che si modifica da uno stato lievemente alterato ad una smorfia di finto stupore meravigliato seguito da un campionario di gridolini che vanno dal ohhhh , ma daiiiiiii, nooooo a cui seguono frasi del tipo: ma non ci posso credere, al massimo te ne danno 50, io non ci arriverò mai alla tua età, a te chi ti ammazza e via dicendo. Vogliamo anche parlare del tono di voce che usano? Perché non si limitano a dire stronzate con il tono pacato adatto a civili conversazioni. No. Devono per forza urlarti queste stupidaggini nelle orecchie scandendo sillaba dopo sillaba quasi fossi sorda o peggio non capissi il significato delle inutili parole che pronunciano.

E adesso che stanno mangiando come una mandria di mufloni che ha attraversato le praterie coast to coast, si , adesso che sta entrando la mia torta con le 90 candeline canoniche e iniziano a cantare tanti auguri a te, proprio adesso mentre i tappi dello champagne saltano e l’orchestrina inizia a suonare

Heaven, I’m in Heaven,
And my heart beats so that I can hardly speak;
And I seem to find the happiness I seek
When we’re out together dancing, cheek to cheek.
Heaven, I’m in Heaven,
And the cares that hung around me thro’ the week
Seem to vanish like a gambler’s lucky streak
When we’re out together dancing, cheek to cheek.
Oh! I love to climb a mountain,
And to reach the highest peak,
But it doesn’t thrill me half as much
As dancing cheek to cheek.

vuoi vedere che vi pianto in asso?

Si, Peppo, la ballo ancora una volta con te.

POST IT

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” Sono stanca. Me ne vado”

Mi lascia con questo post-it appiccicato al frigo.

Essenziale.

Ce n’erano di modi per lasciarmi. Non dico parlamene direttamente, lo so che non ami le chiacchiere inutili, che ti stanchi di ripetere le stesse cose che sappiamo da anni, ma almeno scrivimi una lettera e lasciala sul tavolo della cucina, mandami una mail, un sms, un fax, un mazzo di fiori con biglietto di addio allegato. No. Lei deve essere sintetica anche negli abbandoni.

A guardarla da un certo punto di vista la casa senza di lei ha un’altra dimensione. Sarà l’armadio vuoto, i cassetti del comò liberati dai suoi reggiseni e la possibilità di avere finalmente le mie mutande nel primo cassetto, le bomboniere ricevute scomparse dalla libreria. Nel complesso mi sembra tutto più luminoso, più largo.

Che fosse stanca potevo immaginarlo, anche io sono stanco: il lavoro, le incazzaure, il mutuo, la macchina in seconda fila, il sale che manca quando butti la pasta. Ma da lì ad andarmene ce ne passa. E poi andare dove? E lei dove cazzo poteva essere andata? Dalla mamma? Dall’amica? Dalla cugina, quella rossa di sinistra che parlava soltanto citando slogan e frasi lapidarie? No, non è da lei. Non è una donna che va a piangere in giro. Piuttosto di ammettere un fallimento racconta una barzelletta.

Questa è la donna che conosco io.

Ma quanto la conosco?

Quante volte mi sono chiesto a cosa pensava mentre parlavo di nanotecnologie?

Come erano le sue serate quando io non c’ero?

Cosa toccavano le sue mani quando toglieva gli anelli?

Non ricordo neppure se ultimamente si era tagliata i capelli o li aveva soltanto raccolti, non so che taglia di abiti avesse, né se avesse allergie.

Non ho una foto sua e delle sue labbra non ricordo il sapore.

So che rientravo e lei era li’, la cena pronta, la mia posta aperta e lasciata sul tavolo per il controllo, il mio vestito a giacca per il giorno dopo appeso alla gruccia, le scarpe lucidate.

E’ uno scherzo.

Lei non può essersene andata, non può avermi fatto questo.

Aveva tutto.

Era felice. Stamattina mi ha sorriso chiudendo la porta di casa. Forse erano i suoi occhi che avevano smesso di sorridermi. Da quanto tempo non la guardo dentro gli occhi?

E poi, quella che conosco io anche quando se ne va, lascia un comando da eseguire.

Giro il post it.

“Pulisci la lettiera”

Non si è scordata.

Se n’è andata davvero.

GROVIGLI

– Ma chi me lo fa fare?
– La tua coscienza, il tuo senso di responsabilità.
– Ma sono stanca.
– Non è ancora il tempo di riposare.
– Quando sarà il tempo?
– Quando avrai finito la tua missione.
– Io non so quale sia la mia missione.
– E’ questo che ti frega.
– Solo questo?
– Versati una anisette e taci.
– Parlare con te dà le sue soddisfazioni.