RAGOUT

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E’ un fatto che i rapporti di buon vicinato vadano coltivati.

Mi sono sempre spesa in questo senso credendoci fermamente. Sono socia fondatrice del Comitato “mogli felici spose operose” che, nel primo capoverso dello statuto, ha come obiettivo primario la tranquillità e il benessere del nostro quartiere. Il secondo capoverso regola i comportamenti da adottare all’arrivo di un nuovo residente: Comitato d’accoglienza, invito a cena nella prima settimana, obbligatorietà del buongiorno se ci si incrocia la mattina, visita settimanale con chiacchiere informali, recapiti telefonici di tutte le vicine da usare in caso di necessità.

Poi è arrivata donna Antonia e il suo cane. Scorbutica lei e isterica la bestia.

Non ha voluto associarsi al nostro comitato, ci ha sbattuto la porta in faccia quando ci siamo presentate a casa sua non prima di aver afferrato la torta di mandorle e il soufflè al formaggio che le avevamo preparato. Naturalmente evita accuratamente di salutarci quando ci si incrocia va già bene quando grugnisce qualcosa tra i denti che potrebbe essere una maledizione o un cancro in gola, tanto l’intonazione è la stessa.

La piccola bestia ha le sue stesse tendenze della padrona con l’aggravante di essere in possesso di ugola che fa impazzire l’intero quartiere. Abbiamo inoltre registrato, nel primo mese di residenza della nuova vicina, la sparizione di tre gatti, 2 aggressioni a passanti occasionali e la scomparsa di una ciabatta della signora Franca.

Urgeva una soluzione. E una soluzione si trova sempre.

Una notte ci fu un po’ di trambusto nell’isolato. Si sentirono alcuni cani abbaiare, alcune finestre illuminarsi ma giusto il tempo di vedere che tutto era tranquillo come al solito , anzi un po’ più del solito perché il cane della signora Antonia non abbaiò per l’intera nottata. Anzi, non abbaiò più.

Come eravamo use fare da sempre, il lunedì ci recammo a casa della residente oltraggiosa con un vassoio di lasagne e la scorbutica vicina dopo averci aperto afferrò il vassoio e senza un grazie richiuse la porta.

Solo a tarda sera sentimmo un grido che non ricordava niente di umano.

Avemmo un pensiero unico: Ha finito le lasagne.

Certo erano buone con quella sfoglia tirata sottile, la besciamelle cremosa e abbondante ma il tocco che le rendeva uniche era il ragù. Ragù di barboncino come si leggeva inciso sul vetro del fondo della pirofila.

 

 

 

ANOMIA

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Vedo una donna carica di pacchetti e sportine sbracciarsi in maniera così scomposta correndomi incontro mentre le persone che la incrociano si allontanano credendola invasata. Cerco anch’io una scappatoia ma il traffico non mi permette di passare dall’altra parte della strada.

 

 “Carissima, ma ciao!” mi urla in un orecchio stringendomi in un abbraccio che rischia di incrinami la settima vertebra e schioccandomi un bacio sulla guancia.

“ Chi cazzo è questa?”

“ Ma che bello averti incontrata dopo tanto tempo”

“Sarà una vecchia compagna di scuola su cui il tempo si è divertito.”

“ Guarda parlavamo proprio di te ieri sera con la Chiara , la Chiara , te la ricordi vero?”

“ Chiara.  Ne conosco 2 di Chiara. La figlia dell’ingegner Lamarini che ha 14 anni ed escludo che questa tettona teutonica si riferisca a lei, l’altra è la santa patrona d’Italia, la francescana, morta ad Assisi nel 200 circa e dunque da scartare a priori”

“ Ma certo che te la ricordi, che stupida che sono”

“ Se te lo dice lei sarà vero.”

“Tu sei sempre quella di buona memoria, imparavi una poesia in due letture”

“ Già. E’ per questo che non capisco come faccio a non ricordarmi di questo vortice di parole sparate senza prendere aria per ossigenare i polmoni e la testa”

“ Ti trovo bene, ma come fai a rimanere sempre la stessa? E la pelle, ma guarda che pelle che hai?!?!??! Io sto cadendo a pezzi, Guarda qui. Le vedi? No, dico, le vedi le braccia?  La vedi questa ciccia cascante? E dire che vado in palestra 3 volte a  settimana e sai cosa vuol dire per me fare dello sport no? Ero la persona più lontana dall’attività fisica che ci si potesse immaginare”

“ E’ un incubo, ma la mitragliatrice non si inceppa mai?  Devo trovare il modo di sganciarmi da questa pazza

“Ma tu che fai nella vita? Ti sei sposata? Hai figli? “

“Ti risponderei anche, se solo mi lasciassi parlare”

“Io mi sono sposata e ho anche due splendidi bambini. Ma sono entrata a far parte delle ex. Eh si, sono separata, anzi, tra un po’ divorziata. Non si andava d’accordo, non c’era dialogo tra noi”

“ Capisco molto bene il tuo ex marito. Oddio, ma chi è questa? Cosa vuole da me? Come cazzo si chiama e come fa a conoscermi?”

“Adesso che sono libera ho talmente tante cose da fare che non so proprio dove sbattere la testa,  giro come una trottola dalle 7 di mattina alle 2 di notte.  Ma sono rinata. Dovresti seguirmi per un giorno per capire e ti chiederesti anche tu come reggo a questo ritmo”

No grazie, giuro che mi fido

“ Adesso devo scappare ma mi ha fatto un mare di piacere vederti. ti lascio il mio biglietto da visita: c’è il numero di cellulare, quello di casa, la mail e il giorno del mio compleanno, simpatico no? Adesso che ci siamo riviste non voglio più perderti di vista. Devo scappare che sono in ritardassimo. Bacio bacio e chiamami, Rosa!

Rosa?”

ABDICAZIONE

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Iniziò a passarmi davanti un anno fa. Lo ricordo bene perché aveva un profumo che mi ricordava qualcosa di perduto. La prima volta mise 50 centesini nel barattolo senza neppure guardarmi. Fu in una giornata piovosa di fine settembre che prese la mia mano tra le sue e mi lasciò 5 euro. Aveva gli occhi arrossati. Le chiesi se la potevo aiutare. Mi sorrise e scosse la testa. Già, come poteva aiutarla una barbona?  Mi resi conto che ero andata oltre, che non mi potevo permettere di darle confidenza perché una barbona non deve dare confidenza a nessuno, neanche a chi lascia mance, perché una barbona non si deve affezionare a nessuno se non vuole soffrire dopo.

Abitavamo nello stesso palazzo, lei nell’attico, io sul terzo gradino, il più vicino possibile al portone.

 

Conoscevo i suoi orari: usciva alle otto di mattina, rientrava alle 7 di sera.  Non frequentava molti uomini. C’era quello con land rover bordeoux, quello con la panda verde, quello biondo che arrivava con il taxi. Poi arrivò una donna, una sera, tardi, molto tardi perché ero già attaccata al portone e quella mi dovette scavalcare per entrare.Aveva le chiavi ma non era del palazzo. Sapeva di marcio e io lo conosco bene quell’odore. Sapeva di me.

 

Poi ci fu quell’urlo e la chiazza di sangue che si allargava sul marciapiede tingendole di rosso la camicia da notte.

 

Avvolsi il mio cartone e mi allontai dal palazzo. Non avrei sopportato le sirene, la polizia, i curiosi, le illazioni.

 

L’ abbandonai sul marciapiedi al freddo, l’abbandonai per la seconda volta.

 

Ci ho provato, giuro che ci ho provato a fare la madre, ma non è il mio mestiere.

ORDINE

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I SETTE SACRAMENTI

ORDINE

Anni e anni di finzione, anni e anni in cui sono entrata nella porta sbagliata dei bagni pubblici, anni e anni in cui non ho negato la mia femminilità tagliandomi i capelli, usando deodoranti da uomo e lavandomi poco, anni e anni di ingestione di testosterone per mettere a tacere quelle voci insistenti, anni e anni di calzoni la cui gamma di colore andava dal nero al grigio topo con una sola eccentricità quando ne acquistai un paio marrone scurissimo, anni e anni di fasciature al seno maglioni larghi e spalle incurvate per non far vedere, per nascondere ciò che la natura mi aveva inflitto, anni e anni di studio per eccellere, perché nessuno indagasse più di tanto su quel tono di voce così poco maschile che pur mi era costato ore e soldi spesi da un bravo logopedista che non riusciva a capire perché volessi cambiare la mia voce dolce e suadente facendola diventare rasposa e scorbutica, anni e anni a cancellare un passato con falsi documenti, false fotografie, falsi paesi di origine, false parentele che ho dovuto estinguere.
Ma ce l’ho fatta.
Domattina mi imporranno le mani e sarò finalmente un tuo ministro. Mi affideranno una parrocchia e potrò celebrare la messa, ascoltare confessioni, aspargere col turibolo, comunicare, organizzare sagre e celebrare matrimoni. Sì, domani lo potrò fare. Stasera, qui, stesa a terra con le braccia allargate mi gusto la mia vittoria sola, sola con te che mi hai aiutato in questa finzione durata anni, perché senza il tuo aiuto non ce l’avrei mai fatta, da sola non ne avrei avuto la forza. Me lo dicesti quella sera in quel sognobambino e non l’ho mai dimenticato: “ La Chiesa ha ordinato sacerdote Maria, la madre del Cristo, ma in ogni donna c’è una Maria da ordinare” e io ti risposi “ Sarò come Maria” E i giuramenti che si fanno da piccoli nessuno deve provare ad infrangerli.
Da domani puoi chiamarmi Don Giovanni e ti giro che in me non ci sarà niente del Casanova e non mi vedrai mai lasciare l’abito talare per amore di una donna.
Di quello puoi stare sicuro.

BOTTE

Lui l’ aspettava all’imbrunire, quando andava al rosario di maggio, col velo in testa e la testa persa in mille altri pensieri che non comprendevano i misteri dolorosi. L’estate successiva lui si comprò un paio di scarpe Zenit e andò nella casa dei vecchi per affettare il salame che sanciva l’accordo di nozze. L’Emilia era diversa dalle altre ragazze: alta per la statura delle donne di allora, i capelli neri come le ali del corvo, il viso pallido con le gote rosse che solo i vent’anni sanno dipingere con la vita in campagna e le canzoni da mondine urlate nei campi. Sapeva di sposare una donna fiera, una donna con la forza della dignità che non avrebbe mai abbassato lo sguardo in una discussione e la voleva proprio così. E così l’ebbe. Non si aspettava la sua reazione quel giorno che la riempì di botte. C’erano donne che le prendevano dai loro uomini di santa ragione e si rintavano in casa fin quando i lividi non scomparivano. L’ Emilia no, non era il tipo. Donne che giustificavano il viso tumefatto con la distrazione e con spigoli spuntati improvvisamente davanti a loro in quella casa così conosciuta che a volte mutava disposizione del mobilio senza che nessuno spostasse una sedia. L’Emilia no, non era il tipo. Quel giorno uscì, andò all’osteria e tranquillamente raccontò a tutti che il suo uomo l’aveva picchiata perché era ubriaco. Non so se sia stato perché era una bella donna, non so se lo fecero perché aveva avuto il coraggio di un uomo, so che gli amici del suo uomo lo derisero per un mese intero e lui non solo non la colpì più ma iniziò a portarla all’osteria per far due chiacchiere con la moglie dell’oste.
Fu così che mia madre e l’Emilia divennero amiche.