CALCOLI

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Così un giorno avverti un dolore cupo sordo tra le tette. Pensi ad un infarto poi muovi il braccio e tendi ad escluderlo. Allora cosa mi sta succedendo? Tra le tette non c’è un organo rilevante ammesso che lo sterno sia irrilevante ma conosco la sensazione delle ossa rotte ed escludo.  Si va dal medico. Dolore di riflesso, dice, va a fare le analisi. Ecografia. Scopro così che l’ecografia non spetta solo alle donne incinte ma anche a chi ha i calcoli alla colecisti. Che questi sono bastardi perché mica li passi con l’acqua come per i calcoli renali. No. Questi si tolgono solo togliendoti la colecisti. Ora io sono affezionata alle parti del mio corpo che mi sono state date in consegna e non vorrei che un giorno mi si chiedesse “E tu che ne hai fatto della colecisti che ti avevo dato?!??!” Mica posso dirgli “Sa, Altissimo, me la sono lasciata togliere da un chirurgo” come minimo me la fa pagare e chiamiamoci fortunati se non mi applica anche una penale. Dunque me la tengo e cambio il regime alimentare. Che detto così sembra semplice se non fosse che abito in Emilia terra di maiali, gnocco fritto, cappelletti, salame e dove l’unico condimento possibile sembra essere il burro.

Io che vivevo di caffè e sigarette mi trovo a lottare con la signora igienista salutista biologicista slowfoodista macrobioticista davanti allo scaffale dei cibi bio per un pacchetto di farro e pane di segale nero. Sia mai detto che ingaggio una guerra per l’orzo perlato: sorrido e mi dirigo velocemente verso il banco degli affettati: un etto di mortadella e fanculo lo yin e lo yang l’aura e il metabolismo, il cosmo e le congiunzioni astrali i medici gli esami e la vacca che ti ha fatto. Per usare una citazione cinematografica, io, oggi, Frankly, my dear, I don’t give a damn“.

 

 

VOLTASTOMACO

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La parola magica è solidarietà. Giuro che a prossima persona che la pronuncia si trova con la faccia appiccicata al muro come una mosca schiacciata con lo scopino. La nuova moda, da noi, è creare il “banco alimentare” parrocchiale. Niente di male, ottima iniziativa. Ogni parrocchia si va a rifornire in romagna di ogni ben di Dio, tanto per restare in argomento. Così si porta a casa dai prosciutti al grana, dal vino al lardo di colonnata, dal succo d’arancia alla farina biologica senza dimenticare i formaggini, il latte, salami, mortadella, yogurt, pasta di ogni tipo e dimensione, sughi pronti, budini, panna cotta, brioches e merendine.

Facendo una stima approssimativa, ma mi si perdonerà perché non sono una beghina baciapile, il 75% finisce nelle cene parrocchiali, vuoi per sant’Antonio, vuoi per il carnevale dei bambini,vuoi per raggranellare soldi per i poveri negretti del Benin. Del 25% che rimane togliamone ancora un buon 10% perché i mussulmani che vengono in parrocchia a ritirare mestamente la loro sportina, buttano via tutti gli insaccati e gli alcolici. Un 10 %finisce a casa dei solidari, perché va bene fare beneficienza ma qualcosa per la mia famiglia me lo dovrò pur prendere no? Resta un 5% che finisce effettivamente a casa di chi, superando l’imbarazzo, si reca in canonica il sabato mattina per ritirare l’”aiuto alimentare”.

Ma in fondo hanno ragione, loro, gli organizzatori fanno volontariato credendo nella solidarietà.

Ho un leggero senso di nausea.