ZAFFATA

 

 

 

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La Teresa sapeva di aglio e di pane. Insomma sapeva di buono.

I capelli bianchissimi pieni di onde, il seno accogliente di chi ha allattato 6 figli, una corporatura forte da donna che conosce la campagna.

Alzava la schiena dall’orto e mani suoi fianchi generosi, sguardo severo brontolava in dialetto quando mi vedeva arrivare.

“ Cusa set gnuda a far?”

“A vedere le bestie”

“ To madar al sala?”

“ Se lo immagina”

“ Ven dentar, sumara!”

Perché solo una somara poteva scappare da casa per vedere le mucche, inzaccherarsi le scarpe rosse in una stalla tra il piscio e le bovazze delle vacche.

Poi preparava il coniglio e gli odori della stalla si confondevano con quelli della cucina. Assistevo a quelle magie sperando di prenderne parte, sperando che l’orchessa mi portasse finalmente nel lettone e iniziasse a raccontarmi la storia di Massasettestrupiaquatordas per poter ridere sentendola ridere e allontanare la certezza della punizione che mi aspettava al ritorno a casa:“ Puzzi da stalla, fila a lavarti.” Poi, i fili di paglia, li avrei nascosti nel comodino.

 

 

 

APPIGLI

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Il 15 marzo Erio decise che era tempo di andare a casa di Gino.

Erano sei mesi che percorrendo la navata della chiesa la domenica mattina appoggiava la mano sul diciassettesimo banco dal fondo e non lo vedeva. Gino arrivava sempre prima di lui da quando erano chierichetti e si prendeva l’unica cotta con i polsi intatti ma la vigilia di Natale del ‘46 gli lasciò portare la croce in processione e ci sono gesti che legano le vite molto più di un matrimonio.

Gino sposò una brava ragazza. Lavorarono insieme quelle benedette 60 biolche di terra aspettando un figlio che non arrivò mai. Erio ne fece tanti di figli, uno per ogni  dolore.

Il 15 marzo Gino lo aspettava al sole, davanti all’uscio di casa. Se avesse potuto si sarebbe alzato, invece rimase seduto sulla sedia a rotelle e allungò la mano. Lentamente, con il suo passo malfermo Erio si avvicinò.

“ Mi siedo io al tuo posto su quel banco ora, te lo tengo caldo”

“ Non riesco più a venire”

Seguì una pausa lunga da far tramontare il sole.

“Andiamo a vedere la tua campagna Gino”

“Andiamo”

Erio prese le maniglie della carrozzina, vi si appoggiò come era solito fare col suo girello e lentamente andarono verso i peri.

Esistono viaggi difficili da percorrere senza sostegno. Perché serve coraggio.

E stringendo una mano non si ha paura neppure di una tempesta durante un volo in mongolfiera.

ABDICAZIONE

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Iniziò a passarmi davanti un anno fa. Lo ricordo bene perché aveva un profumo che mi ricordava qualcosa di perduto. La prima volta mise 50 centesini nel barattolo senza neppure guardarmi. Fu in una giornata piovosa di fine settembre che prese la mia mano tra le sue e mi lasciò 5 euro. Aveva gli occhi arrossati. Le chiesi se la potevo aiutare. Mi sorrise e scosse la testa. Già, come poteva aiutarla una barbona?  Mi resi conto che ero andata oltre, che non mi potevo permettere di darle confidenza perché una barbona non deve dare confidenza a nessuno, neanche a chi lascia mance, perché una barbona non si deve affezionare a nessuno se non vuole soffrire dopo.

Abitavamo nello stesso palazzo, lei nell’attico, io sul terzo gradino, il più vicino possibile al portone.

 

Conoscevo i suoi orari: usciva alle otto di mattina, rientrava alle 7 di sera.  Non frequentava molti uomini. C’era quello con land rover bordeoux, quello con la panda verde, quello biondo che arrivava con il taxi. Poi arrivò una donna, una sera, tardi, molto tardi perché ero già attaccata al portone e quella mi dovette scavalcare per entrare.Aveva le chiavi ma non era del palazzo. Sapeva di marcio e io lo conosco bene quell’odore. Sapeva di me.

 

Poi ci fu quell’urlo e la chiazza di sangue che si allargava sul marciapiede tingendole di rosso la camicia da notte.

 

Avvolsi il mio cartone e mi allontai dal palazzo. Non avrei sopportato le sirene, la polizia, i curiosi, le illazioni.

 

L’ abbandonai sul marciapiedi al freddo, l’abbandonai per la seconda volta.

 

Ci ho provato, giuro che ci ho provato a fare la madre, ma non è il mio mestiere.

APORIA

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La prima cosa a cui pensai quando mi diagnosticarono il cancro fu: perché a me, perché non alla signora della villetta vicino che vive solo per i suoi gatti, perché non alla commessa del supermercato la cui inutilità è un dato provato, perché non a quel deficiente che parcheggia sempre nel posto per disabili senza averne l’autorizzazione, perché non al barbone che dorme sulle quarta panchina del parco e puzza di vomito,perché non a mia madre che è vecchia e soffrirà come una cagna, perché cazzo a me? Non ho mai fumato, ho condotto una vita sana, studiavo diligentemente, facevo sport, mangiavo bio, scopavo poco e non bevevo alcolici se si esclude l’aperol soda che mi dava mia nonna quando andavo a trovarla.

Così sono stato il prescelto per occupare la stanza 24 del padiglione oncologico dono della benefattrice Odette Mariotti e ho iniziato a odiare lei, i medici, le infermiere troppo premurose e la psicologa che voleva attutire il mio dolore.

Toglietevi dalle palle  e lasciatemi crepare in pace.

Teresa entrò con gli occhi gonfi e le mani gelate. Prese la sedia, si sedette e aggiunse elementi alla sua storia. “ Avvocato, deve fermarlo”. Non mi chiese perché me ne stavo li’ e non in studio, non mi chiese come mi sentivo ne’ se ero operabile . Si sedette e riprese il discorso da dove l’aveva interrotto quel pomeriggio nel mio studio e studiammo la strategia processuale da seguire.

La febbre che mi tormentava da giorni scomparsa, il dolore  inesistente, la volontà di farcela assente. Ma non ho più il tempo di pensarci.

Nella stanza 24 del policlinico fanno la coda per avere un parere legale, un’indicazione, un consiglio: mogli tradite con l’ulcera duodenale che si trascinano da medicina generale, uomini con catetere che aspettano pazienti il loro turno per riscattare gli anni di lavoro in agricoltura, vecchi a cui hanno sospeso l’accompagnamento e vogliono far causa all’inps, bambini da pediatria intenzionati a portare davanti a un giudice la Mattel.

Non ho più tempo, adesso, di maledire il cancro ma mi fa ridere l’idea che  non vedrò finire le cause che inizio. E la causa non sarà la lentezza dei processi in Italia

HERO

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Ci siamo.

E’ il 5 maggio 1961, sarò il primo e il mio nome rimarrà nella storia.

E andate a fanculo voi Russi e la vostra cagnetta Laika.

Sta calmo.

Durerà poco, solo 13 minuti ma saranno 13 minuti che rivoluzioneranno il mondo.

Non ci volevo credere che avevano scelto proprio me fin quando non mi hanno detto che dovevo essere io a dare un nome alla missione, prerogativa che spetta ai comandati.

Mi scappa la pipì.

Devo stare calmo, durerà poco e la potrò fare.

Ripasso mentalmente le azioni che devo compiere alla fine del count down così mi distraggo.

Quanto può resistere l’ampolla vescicale alla pressione della pipì ?

Tra tutti i test che mi hanno fatto durante la selezione questo non lo hanno incluso.

Manca un quarto d’ora al lancio della Freedom. Perché cazzo interrompono il conto alla rovescia?

Cape Canaveral che succede?

Nuvole?!?!?

E chi se ne frega se non potete documentare fotograficamente l’evento, io non resisto.

Si, non resisto, devo pisciare. Mi avevate detto che sarei stato in volo solo per un quarto d’ora. No, non l’ho fatta prima perché non l’avevo, lo sapete o no che non la si fa a comando? Ma non avete previsto un modo cazzo?

E adesso questa sospensione.

Sono 4 ore che aspetto di partire, cosa credete che io abbia la vescica d’accaio?

Si, si sto calmo, sono calmissimo, ma mi scappa. Adesso mi alzo apro lo sportellone e la faccio fuori. Ma possibile che con i 300 ingegneri che ci sono alla NASA nessuno ci abbia pensato?

Cosa?

Me la devo fare addosso? No, dico ma vi si è fuso il cervello?

10

No aspettate

9

Non adesso

8

Non riesco a trattenermi

7

Ecco anche le vibrazioni

6

Provateci voi con ‘ste vibrazioni a tenerla

5

Non adesso

4

No

3

Si, si, si, si

2

Ahhhhhhhhhhh

1

Ecco. Il primo astronauta che si è piasciato addosso durante il volo. Mi ricorderanno per questo.

0

Please, dear God, don’t let me fuck up. 

ORDINE

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I SETTE SACRAMENTI

ORDINE

Anni e anni di finzione, anni e anni in cui sono entrata nella porta sbagliata dei bagni pubblici, anni e anni in cui non ho negato la mia femminilità tagliandomi i capelli, usando deodoranti da uomo e lavandomi poco, anni e anni di ingestione di testosterone per mettere a tacere quelle voci insistenti, anni e anni di calzoni la cui gamma di colore andava dal nero al grigio topo con una sola eccentricità quando ne acquistai un paio marrone scurissimo, anni e anni di fasciature al seno maglioni larghi e spalle incurvate per non far vedere, per nascondere ciò che la natura mi aveva inflitto, anni e anni di studio per eccellere, perché nessuno indagasse più di tanto su quel tono di voce così poco maschile che pur mi era costato ore e soldi spesi da un bravo logopedista che non riusciva a capire perché volessi cambiare la mia voce dolce e suadente facendola diventare rasposa e scorbutica, anni e anni a cancellare un passato con falsi documenti, false fotografie, falsi paesi di origine, false parentele che ho dovuto estinguere.
Ma ce l’ho fatta.
Domattina mi imporranno le mani e sarò finalmente un tuo ministro. Mi affideranno una parrocchia e potrò celebrare la messa, ascoltare confessioni, aspargere col turibolo, comunicare, organizzare sagre e celebrare matrimoni. Sì, domani lo potrò fare. Stasera, qui, stesa a terra con le braccia allargate mi gusto la mia vittoria sola, sola con te che mi hai aiutato in questa finzione durata anni, perché senza il tuo aiuto non ce l’avrei mai fatta, da sola non ne avrei avuto la forza. Me lo dicesti quella sera in quel sognobambino e non l’ho mai dimenticato: “ La Chiesa ha ordinato sacerdote Maria, la madre del Cristo, ma in ogni donna c’è una Maria da ordinare” e io ti risposi “ Sarò come Maria” E i giuramenti che si fanno da piccoli nessuno deve provare ad infrangerli.
Da domani puoi chiamarmi Don Giovanni e ti giro che in me non ci sarà niente del Casanova e non mi vedrai mai lasciare l’abito talare per amore di una donna.
Di quello puoi stare sicuro.

UNZIONE

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I SETTE SACRAMENTI

UNZIONE

Mandatelo via, non è ancora il momento per farlo, è troppo presto non ve ne rendete conto? E piantatela di piangermi intorno. Come faccio a farmi sentire? Come mai non capiscono che sto urlando? Adesso riesco finalmente a capire le frasi di Joe Gideon. L’ira contro Dio che ha scelto me , proprio me che non avevo ancora finito quella commedia, che dovevo ancora telefonare alla Saura per confermare la data. Ma come si permette di interrompere così i miei impegni? Chi crede di essere? Si, è Dio, ma mi rifiuto per questa volta di accettare il destino che ha scelto e poi perché quella data? Perché non procrastinare, oddio come mi piace quella parola, e forse se gliela dicessi avrebbe un sussulto e si renderebbe conto che si è sbagliato, che mi ha confusa con un’altra, un’omonima, una che mi somiglia, una che ha i miei occhi ma non i miei pensieri o forse si è distratto un momento, va bene, è Dio, ma una pausa caffè se la sarà pur presa in tanti anni di vita. No, non voglio morire, toglietevelo dalla testa io in quel tunnel non ci finisco, mi aggrappo alle pareti, mi scortico le unghie ma dimenticatevi che mi lasci andare, risucchiata nella luce. Cazzo, vi pago, portatemi in America, in Svizzera, da un santone indiano ma non lasciatemi qui, voglio un altro medico, che cazzo ne sa quel dottorino, voglio il parere del mio medico condotto, di lui e solo di lui posso fidarmi. Ok, ok allora contrattiamo. Prendi mia cugina, è vecchia e antipatica lei, ammettilo per una volta anche tu, oppure prendi, ecco, prendi la zia è centenaria lei ha voglia di raggiungerti e io ti garantisco che cambierò vita, andrò anche a tutte le riunioni dell’Azione Cattolica, organizzerò le mostre per le missioni africane, ascolterò i drammi di quel pachiderma della Matilde che non sa mai se mettere sull’altare il merletto delle suore o quello sintetico della coop e continua a mangiare per vincere la sua timidezza, cos’altro vuoi che faccia? Dimmelo e lo farò ma non farmi morire, non adesso, mi sarebbe insopportabile. Ma tu non mi stai ad ascoltare vero? Allora sia fa come vuoi ma sia chiaro che io non sono d’accordo, che poi lo so come siete fatti voi e rigirate la frittata. Se credi che sia un bene che io ti raggiunga, se proprio non riesci a fare a meno di me, se hai bisogno di farti ogni tanto una sana risata, se vuoi una che sa giocare a briscola e a cuncincinna sono pronta a scivolare lungo il tunnel, ma per favore, dì a quel prete di piantarla di ungermi la fronte e mugugnare quelle parole o mi alzo improvvisamente dal letto e vi frego tutti quanti vendendomi alla concorrenza.

PITTORI

4b66106231e6d3197968bac534d38d4a.jpgAle ama le donne.
Ale ama le donne sbagliate, sempre.
Ha due pieghe profonde sul viso che lo fanno assomigliare ad un cane, gli occhi trasmettono la tristezza silenziosa degli abissi, le sue mani sono enormi e hanno il profumo della tempera a cui lo iniziò il primo grande amore a cui non bastava un operaio da amare ma perlomeno lo voleva artista. E allora lui comprò tele e pennelli per ritrarla e la perse dentro ad un paesaggio che regalò come dono di nozze ad un amico gobbo.
Poi fu la volta della piccolina, quella che gli arrivava ai fianchi e che lo voleva intellettuale. Si iscrisse alle serali che frequentò con profitto fino al raggiungimento del diploma da ragioniere che non gli sarebbe mai servito lavorando da un artigiano che costruiva blocchi di cemento per l’edilizia. La piccola se ne andò quando Ale le presentò il tecnico dei televisori chiamato per riparare un tv che lui non accendeva mai.
Intanto sua madre moriva e quel posto vuoto fu occupato dalla miope svanita che lasciava cicche di sigarette sui mobili di casa bruciando il bordo di quei ricordi familiari. Prima ancora che Ale capisse che quella donna cercava solo un appartamento senza canone d’affitto la miope se ne andò con l’uomo dalla villetta a schiera e nel trasloco gli portò via il canapè, l’unico salvato dalle sue bruciature di sigaretta.
Ale adesso beve caffè corretto con la grappa, vive coi topi in giardino, mi ha dipinto di spalle mentre mi raccolgo i capelli e non sorride mai.

CIGNI

Avevamo addosso quel malessere adolescenziale che ti rende bello e dannato.
Odiavamo il mondo, odiavamo le cose belle del mondo, odiavamo le cose che devono essere fatte bene perché si fanno bene, non tolleravamo quelli che ci volevano aiutare e neppure quelli” vieni qui che ne parliamo” volevamo solamente far sentire la nostra impotenza, la nostra insoddisfazione, il rifiuto alle regole e fu allora che presi un sasso e lo lanciai verso il cigno nero.
La Romy mi disse: “Ma che fai? Sono così belli….” “Lo so, ma anche loro devono sapere che c’è sempre qualcuno a cui da fastidio la tua bellezza, il tuo navigare per conto tuo, il tuo tenere il collo alto”.
La Romy allora prese un sasso e glielo lanciò nel culo.

ACCOMPAGNAMENTO

 

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Stare insieme a me so che è faticoso.
Devi sempre essere pronto ad afferrarmi mentre scappo, mi devi legare per costringermi a parlare di cosa mi succede nella testa e delle scelte che faccio senza interpellarti. Devi saper accettare i miei silenzi colpevoli che non vogliono redenzione ma soprattutto devi avere pazienza. Capire senza chiedere, intuire i momenti in cui sprango la porta e ti chiudo fuori perché non voglio che tu mi invada con la tua presenza leggera e silenziosa. Non urlo neppure più, so che non servirebbe con te come non è mai servito con nessuno, ma almeno avevo uno sfogo: adesso ho la gola secca e mi fanno male le tonsille. Neppure riesco a cantare, le note mi si smorzano in gola e i toni troppo alti mi stridono nel cervello. E non so neppure se la moneta con cui ti ripago abbia tutto il valore che le hai dato. Inizio a credere che sia davvero un conio speciale di cui non so capirne io stessa il valore. Il falsario che l’ha battuta con quattro colpi ben assestati è riuscito a imprimere la stessa immagine su tutte e due le facce della lastra ed è forse questo il motivo per cui quella moneta è così speciale: in realtà è una falsa moneta sbagliata a cui ti ostini a dare importanza, ma non credo che qualcuno sarà mai interessato a comprarla neppure alla mostra della numismatica.